domenica 26 maggio 2013

SUN/DAY

e c'è un cielo che scintilla, mentre guardi su, scintilla nel tramonto dietro i palazzi. c'è il tramonto del giorno trasparente d'azzurro e di vento. c'è il rumore dei tuoi passi sulla ghiaia dei sentieri che attraversano il verde dei giardini mentre torni verso casa, laggiù, dietro gli alberi che ondeggiano e i fiori che biancheggiano, e le cime accese di sole dei grattacieli. laggiù, alla fine di una domenica chiara e di primavera.

DETTO DA M.M.

nella vita di ognuno, succede questa stessa cosa: che l'infanzia a un tratto sparisce, se ne va.


sabato 25 maggio 2013

K.CENTRICO


sono i giorni delle traiettorie ellittiche, questi. le traiettorie ellittiche che si travestono da andate e ritorni. sono i giorni che disegni geografie mischiando strade, aeroporti e stazioni. e le città diventano solo le bandierine infilate in un flusso di giorni ellittici anch'essi. che sia la terrazza da cui guardi il mattino rischiarare il golfo, l’isola e la striscia della foschia che si alza dal mare. o che sia camminare di notte in piazza maggiore cercando di indovinare che profumo abbiano le notti in questa città.
metti su facce per incontrare le facce che devi incontrare. metti il pilota automatico per dire quello che devi dire. eppure, tutto questo un suo senso ce l’ha. ché in fondo sei lì per fare quello che devi fare. 

e c’è l’andare e ci sono le traiettorie ellittiche. c’è avvicinarsi, per poi allontanarti nuovamente. c’è che essere ellittico è non essere tangente. se non per brevi istanti. per singoli momenti. o per una sera che sembra rubata ad anni fa. 

e c’è l’andare e c’è il tornare, poi. e c’è ciò a cui torni, sempre. quel punto esatto al centro della tua vita. quel centro a forma di divano.

venerdì 24 maggio 2013

CHECK IT OUT

24 maggio, 7º centigradi.... ehi, tu, lassù, dare una regolatina al termostato,  pare brutto?

giovedì 23 maggio 2013

DOMANDARE E' LECITO

[fififiii] - (messaggio)
- (messaggio) [invio]
[fififiii] - (messaggio)
- (messaggio) [invio]
[fififiii] - (messaggio)
- (messaggio) [invio]
[fififiii] - basta! mi sono stufata di messaggi! ti posso chiamare?
- ho un modo qualsiasi per impedirtelo? [invio]
[fififiii] - no!
...
... [dri dri driiiii]

sabato 18 maggio 2013

LEZIONI CHE SI APPRENDONO MAN MANO


se ricevi un sms che ti avverte che dal giorno x la fnac svende tutto, musica e film al 50%... beh, è perfettamente inutile che vai 36 ore dopo il giorno x. che non c’è più un fanc di nulla, dopo 36 ore.

venerdì 17 maggio 2013

DETTO DA C.I. (quando il mondo era ancora analogico)

io sono una macchina fotografica con l'obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa. [...] un giorno tutto questo andrà sviluppato, stampato con cura, fissato.


Più riguardo a Addio a Berlino


giovedì 16 maggio 2013

INTORNO A OVEST NORD-OVEST, E POI VERSO SUD

oscillare tra i mille e i tremila metri. altitudini temperature pressioni. saliscendi scendisali di strade e visuali. boschi e montagne. il verde dei campi. le vallate coltivate. la gola del debed incisa dentro la terra. lo splendore della natura e le enormi strutture anchilosate delle fabbriche sovietiche abbandonate. sanahin è cappelle e chiese, arcate e rovine. haghpat è le rondini che nidificano e parlano tra loro in cinguettii e fischi lievi dentre le chiese. hagartsin e i giochi di luce che fendono le navate. un restauro assassino in travertino bianco, e un refetttorio trasformato in disco pub. goshavank e il cielo che tramonta. e il vecchio armeno che ti sorride e ti offre un caffè denso e nero come il suo volto scavato.

il mattino dopo sarà tornare a valle, abbandonare le montagne. sarà di nuovo il lago, e camminare lungo il promontorio di sevanank nell'aria ancora fredda della mattina di un sole che riluce del vento teso in quota a pulire azzurri e spazi.

ora, a distanza di giorni, a distanza di altopiani e montagne e passi e cime innevate e campi e mandrie e greggi, la città rosa sembra ancora più europa, sembra ancora più terzo millennio.

questa è la notte che si chiudono cerchi. la notte che si dicono addii. la notte che si mostrano documenti. e si allacciano le cinture until the seat belt sign has been turned off...

40° 45′ 00″ N 44° 52′ 00″ E, NOTTE

il nero della notte, il respiro e i suoni sconosciuti della foresta che è intorno a te. e cercare di ricostruire costellazioni con le dita a scorrere il cielo, poi.

il nero della notte, il respiro e le parole sconosciute di chi è premuta addosso a te. e cercare di ricostruirne fisionomie con le dita a scorrere il volto e il corpo, poi.

martedì 14 maggio 2013

ROTTA DA EST SUD-EST A OVEST NORD-OVEST

è tutta case sbrecciate e meli in fiore, sisian, e una piccola chiesa in cima alla collina. sono colorati e grandi i fiori sulle tombe dei caduti della guerra per il nagorno, ed è rugosa e triste e muta la faccia del vecchio che ve ne indica una e dice una sola parola, երեխա. e lo capite dal suo sguardo, e dalla foto sulla lapide, cosa vi sta dicendo.

tatev è la quiete assoluta della pietra squadrata nel verde che sovrasta e circonda, e guardando la gola che serpeggia in fondo alla verticale di roccia ed erba  si capisce il senso di una scelta monastica. " in quiete ".

il passo di vorotan, ancora, ma stavolta con i soldati che pisciano in fila perfetta e ordinata. la disciplina è qualcosa serve anche quassù, tra ghiaccio e cielo.

e di nuovo valli e altopiano, e di nuovo un altro passo per un  nuovo altopiano. 
ed è terra di meli e albicocchi in fiore, questa, terra di mandrie e greggi in transumanze e alpeggi. contadini e pastori, altopiani e vette, terra del verde dell'erba che si piega al vento e terra di cime innevate contro l'infinito azzurro del cielo. terra di monasteri e delle croci di pietra delle khatchkar. terra di verdi e azzurri, di bianchi e di rossi. è Հայաստան .

è la via della seta che attraversa i monti e scollina attraverso i passi, e il caravanserraglio di selim per far dormire secoli e secoli di cavalcature, e i quadrati aperti sul tetto per fare entrare aria e luce, e la neve dentro compattata dal freddo e conservata dall'ombra, il vento che soffia incessante da decine di secoli, e la vista che si apre sulla vallata che si srotola in un'unica enorme massa fino all'orizzonte della terra.

l'immensità placida del lago di sevan.

il cimitero di noraduz, e le 800 steli di pietra delle khatchkar conficcate nel terreno, di pietra e muschio arancione a disegnare percorsi e visuali a perdita d'occhio.

hayravank è una chiesa sul promontorio circondato dal lago mentre il sole tramonta laggiù, lontano, e le ragazze vi guardano e ridono quando rispondete "italiani", e dentro è vuoto di pietra nera del fumo di secoli di candele, e l'odore di cera è dolce nella sera.

le foreste scoscese di dijan, e la notte che scende in infinite costellazioni nel nero della notte dei monti e dei boschi. e non sai riconoscere i suoni delle foreste della notte, non sai dare un nome a nulla di quello che ascolti nel buio.

CARTOLINA # 6, 39°31′15″ Nord 46°01′56″ Est

è un film di kusturica anche se non sono balcani ma caucaso meridionale, questi, e lo so che non mi crederai, ma ci vengono a prendere dalla sala di fianco a quella in cui siamo, e ci trascinano di là, a ballare con la sposa, uomini dai capelli neri e dagli occhi lucidi d'alcool, e donne in vestiti aderenti e pettinature con cofane che non si vedevano dai primi anni 60, credimi.
e so che ci crederai ancora meno. a questa, ma le amiche della sposa vogliono la foto mentre l'italiano le bacia, una foto ciascuna, e in due ci dividiamo il compito.... è un duro mestiere a volte vivere, sai?

ci rilasciano dopo due ore, e qualche tentativo di fuga fallito dal loro continuare a venirci a riprendere. alla fine ce la facciamo. e raggiungiamo le nostre camere.
(la festa finirà 4 ore dopo. con i lampeggianti e i manganelli della polizia, a dividere amici dello sposo dagli amici della sposa. più che caucaso, è un alcoolico caucasino, qui.)

è che ci fa 'na sega, a noi, kusturica.

da qui, 
K

domenica 12 maggio 2013

CARTOLINA # 5, 39°31′15″ Nord 46°01′56″ Est


la luce del tramonto rende ancora più piccolo e dorato il karadaran, questo minuscolo giardino di animali di pietra e incisioni rupestri, e pietre pagane che in progressione di secoli si trasformano nelle croci delle khatchkar.
la fine del giorno oggi la lascio scendere qui, nel verde dell’erba nei grigi delle pietre, nelle urla dei bambini che si lanciano una palla gialla e blu e nell’abito nero del vecchio che zappa la terra sotto le piante da fiore lungo il muretto perimetrale, e le bambine che giocano contro la luce del sole basso mi lanciano sguardi divertiti e di nascosto, che chissà cos’ha quello straniero da fotografare le pietre dei nostri giardinetti…

da qui,
K

ps: la più intraprendente era una bambina. avrà avuto otto anni. si chiama mari. “and wass you name mister?

giovedì 9 maggio 2013

CARTOLINA # 4, 39°33′2.52″ Nord, 46°1′42.96″ Est


qui è tutta erba e vento e cielo.
qui è un’enorme vallata dentro l’anello delle cime innevate che la circondano da ogni orizzonte, e il vento mi muove i capelli e muove onda dopo onda il mare dell’erba, e il sole è basso e dolce e dorato tra lo zenit e le montagne. 
e io sono qui, al centro, e ci sono queste pietre, qui, di fronte a me, queste pietre conficcate qui da quasi cinquemila anni a misurare orbite lunari e solari, e il moto delle stelle…
ed è impressionante trovarmi qui, sai?, tra le pietre parlanti di zorats karer… il sole, il vento, il cielo, le nuvole piccole e rapide, l’erba che ondeggia di vento, le cime lungo tutti gli orizzonti, il bianco della neve lontana, queste pietre antiche come l’alba dell’uomo…

esistono i luoghi dove il tempo si ferma. sì, esistono davvero.
e io ho cinquemila anni, qui.


da qui, 
K


ps: zorats karer ha un nome più antico. karahung. kara è pietra, stone. e hung? hung è henge.

mercoledì 8 maggio 2013

ROTTA EST SUD-EST


le colonne allineate del tempio cristiano di zvarnatnots, verticali nere contro il bianco dell’ararat.
i rintocchi delle campane di surp hripsime, suonate dal vano della porta.
il vaticano di erchmiadzin e la processione del papa vestito di nero.
il nartece tripartito di surpr gayane, e lo sposo che già che è lì che aspetta vi chiede se poi gli spedite le foto via mail.

in mezzo al nulla in cima al rilievo l’arco di charends, e ,contro il cielo, sis e masis. lassù, falchi in volo concentrico che stanno per portare morte. e prendere vita.
le verticali di roccia nella gole dell’azat. e le colonne greche del tempio di garni. e sempre le infinite commistioni della storia e della geografia, in intrecci di millenni.
le 7 chiese scavate nella roccia di geghard. e sempre le infinite commistioni dei tuoi percorsi e delle tue, di geografie. “cocciniglie, non coccinelle, cocciniglie”. e il rumore quieto e lieve dell’acqua che sgorga dentro la chiesa.

intermezzo:
ora lo sai, cosa voleva dire mandel’stam
"i denti della vista si scheggiano e si spezzano quando guardano per la prima volta le chiese armene"
e la tua vista si scheggia e si spezza anch’essa. ora la lo sai l’effetto che fa, sì. che sono dense. compatte. tozze. salde. di pianta a croce quadrata. di pietra profonda e squadrata. e non basta la cupola centrale ad addolcire un pugno chiuso e serrato. no, non basta.

verde hayastan, verde di vallate e di salite.
le rondini che cantano e si inseguono dentro la chiesa, a khor virap. e dell’alto del promontorio dominare il monastero dalle spesse mura, e la vallata fino a dove arriva l'occhio. e sullo sfondo, la presenza costante e biancheggiante.
scatti foto alla ragazza giapponese con la maglietta gialla. da qui in poi, vi incontrerete ogni giorno. perfettamente simmetrici nel percorrere questa geografia. (e chissà in quante foto di assoluti e casuali sconosciuti sei tu, ai bordi o sugli sfondi di qualche scatto. chissà quante tue immagini ti sopravviveranno, appese in qualche dove, o chiuse in qualche cd rom o in dimenticati hard disk.)
piatto altopiano infinito verdeggia e si espande. cicogne in volo contro l’azzurro, e pali della luce sollevati dal terreno con i fili a disegnare sottili parallele nere lungo le prospettive.
dopo khor virap, la terra si solleva e s’inasprisce, terra rossa e terra gialla sotto il verde. affioramenti di rocce diagonali, in lunghi costoni aguzzi.
in mezzo allo stretto altipiano verde  e sotto verticali di rosse rocce scoscese, noravank. piccole e strette e che cercano di innalzarsi, surp astvatsatsin e surp karate. cammini sulle tombe stese a terra. 
il passo senza nome che per dire qualcosa chiamate vorotan è sopra quota neve. il vento gelido che ti taglia la pelle mentre scatti foto della terra che si srotola in giù, verso il mondo. resta solo la cornice dei cartelli, e la stazione di cambio è vuota e abbandonata da chissà quanti anni ormai. la sensazione di essere a un qualche confine della terra. confine chissà tra quali dove, e chissà tra quali quando.
ma riprendi la strada, scendendo verso l‘altipiano.

martedì 7 maggio 2013

40° 10′ 49″ Nord, 44° 30′ 52″ Est


matenadaran. museo dei manoscritti. perdersi nella scrittura. nelle scritture.
le prospettive senza fine dei viali sovietici. il verde degli alberi il rosa delle costruzioni il grigio asfalto l’azzurro del cielo il bianco delle vette degli ararat.
incomprensibile alfabeto, l’armeno, cartelloni insegne targhe della totale illeggibilità della sequenza di n uu n n u. u. n. t. 2. c. 
i palazzi accerchiano hanrapetutyan hraparak. e di notte i getti e i colori della fontana verso il cielo.
camminare le bancarelle del mercato di vernissage, e lo stupore di non essere assalito da chi vuol vendere la qualsiasi a qualsiasi costo. è europa non medio oriente questo.
museo di storia. gli albori i percorsi le commistioni le mescolanze le migrazioni le invasioni il divenire. e passano i parti e passano i greci, passano romani, bizantini e sassanidi, passano gli arabi e i selgiuchidi, passano mongoli, timuridi e ottomani, passano i persiani, passano i turchi, passano i russi e i tatari, passano i bolscevichi. passi anche tu, ora, da qui. e loro? loro: da noè, hayk, e da lui gli urartei, in seguito artassidi prima di essere bagratuni, e oggi semplicemente armeni. per giungere qui ora adesso oggi così.
tsitsernakaberd. il monumento del grande male. il medz yeghern. monumento del genocidio negato. le foto mute. rimuovono i fiori della cerimonia di tre giorni fa. e il senso che questo dà della precarietà anche del ricordare. a forma di moschea. come indice accusatorio. ad affermare senza dire. un pugno chiuso in sé di cemento armato. e una scheggia di 40 metri conficcata nel cielo.
le sculture moderne sotto la cascata e i suoi infiniti gradini che biancheggiano contro il sole. gatti grassi pinguini blu uomini di parole conigli che saltano.
imparare a distinguere l’armeno dal russo. senza capire una sola parola. e riuscirci ogni singola volta.
i riflessi azzurri sciiti della moschea blu.
bambini che giocano a scacchi sotto l'occhio del ragno.
le fondamenta della fortezza di erebuni a dominare l’intera valle e il sole che brucia il respiro.
surp sargis. l’ombra e le candele. e la tua crisi mistica,  improvvisa e annientante, la crisi mistica che ha un vestito giallo e nero, e due gambe lunghe come il tuo sguardo.
la vecchia armena che vi chiama e apre il cancello del cortile di casa per lasciarvi entrare e farvi raggiungere zaravor astvatsasin, chiesa rossa nascosta tra palazzi e alberi nel sole che tramonta. le candele arancioni e il nero delle pareti nel fumo di secoli.
l'odore e i colori del mercato della frutta e delle spezie. respirare medio oriente. ora, qui, sì.
il caos e le urla del mercato dei contadini. il rapido passare di mano dei soldi. e i sorrisi e le pose ogni volta che vedono che li stai inquadrando.

i percorsi le mappe i cammini.
la memoria.
essere te.

lunedì 6 maggio 2013

CARTOLINA # 3, 40° 10′ 49″ Nord, 44° 30′ 52″ Est


da qui è facile capire perché questa montagna sia il simbolo di questa città, e dell’intero paese, sai?
lungo le prospettive infinite dei viali sovietici, dietro e affianco alle facciate di pietra rosa, sopra i tetti, sull’orizzonte, nel punto di fuga di ogni sguardo, ovunque, c’è sempre lei, la montagna: l’ararat. lei, e sua sorella minore. i due ararat. sis e masis.
bianche di neve e quota, incombono su tutto, sono onnipresenti. sono l’orizzonte, qui.

l'ararat è il simbolo e l'identità di questa gente. e sai cosa? non si trova nemmeno in questo paese.
e forse solo qui può avere un senso, questo.

da qui, 
K

domenica 5 maggio 2013

CARTOLINA # 2, 40° 10′ 49″ Nord, 44° 30′ 52″ Est

mangio mandorle e bevo rhum nel tramonto della città rosa, colei che viene detta yerevan.
vedo passare gente dalle fisionomie non consuete, e vestite in modi assurdi.
mi sento straniero. e al contempo capisco che sono parte di un tutto che ha solo sfumature diverse, dove il discrimine è uno solo: la geografia di nascita.

da qui,
K

(intermezzo) O, DELLE SIMILITUDINI

questa città è una scheggia. una scheggia d’europa conficcata in asia minore.
questa città è una scheggia d'europa conficcata al confine di quattro mondi: ottomano, persiano, europeo e slavo. questa città è una scheggia d'europa conficcata al confine di quattro religioni: i due cristianesimi, quello di qui, il più antico, più antico anche di quello di roma, e quello ortodosso più a nord. e per geografia, poi, ritrovarsi a essere muro a entrambi gli islam, il sunnita e lo sciita.

questa città è una scheggia d’europa conficcata in asia minore. un’europa di un altro secolo, più tranquilla, più rasserenata, come se il tempo si fosse fermato decenni fa, ma pur sempre europa. e qui l’europa si vede, si sente. è nei modi, nel dire, nel pensare, nel fare.
è la radice cristiana che emerge netta, per contrasto rispetto al mondo mussulmano al di là dei confini.
e c’è che per capire, a volte, si ha bisogno di guardare da lontano. qui si capisce, basta guardare.

ed è sentirsi straniero in terra simile, quando quello che vedi sono similitudini.

(intermezzo) O, DELLE DIFFERENZE

arrivano, e passano.
passano i parti e passano i greci, passano romani, bizantini e sassanidi, passano gli arabi e i selgiuchidi, passano mongoli, timuridi e ottomani, passano i persiani, passano i turchi, passano i russi e i tatari, passano i bolscevichi.

e oggi nei viali alberati della città rosa passano uomini dai tratti duri come quelli dei loro vicini curdi, e ragazze dai lineamenti e dalle forme sgraziate come le donne turche. la bellezza non abita certo qui. e i tacchi vertiginosi e  i vestiti attillati non aiutano culi strabordanti. anzi.
e tu li guardi passare così, seduto nel tramonto mangiando mandorle secche e bevendo birra che profuma di luppolo e altipiani.

è sentirsi straniero in terra straniera, quando tutto quello che vedi sono le differenze.

CARTOLINA #1, o del nome delle cose.

ti sei mai chiesto com'è quando tutti ti chiamano con un nome che non è il tuo nome? ti sei mai chiesto l'effetto che ti fa?
me lo chiedo qui, ora. guardando il cielo d’hayastan.

da qui, 
K

PROLOGO


a volte le differenze sono sottili. sottili come una singola lettera che c'è o non c'è. e prendere al volo non è perdere al volo, no.

e forse perdere al volo il malpensa express non è un grande auspicio per il viaggio che stai per iniziare.
oppure, indica solo che sarà un viaggio dal ritmo rallentato. forse umano.
chissà.

TRAVELLER'S BACK

ché la vita, è simmetrica. che quando si parte, poi si torna.